Page 53 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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è così, e se ne accorgono sia l’analista sia il paziente. Conta quanto 57
l’analista riesca a fare un buon uso di quello che ha e che è. Se riesce a
sostare senza rimanere bloccato, e a muoversi senza scappare, forse
riuscirà ad aiutare anche il suo paziente. Così il cambiamento può
cessare di essere un’aspirazione astratta, o una prospettiva
(inconsciamente) spaventosa, per diventare un recupero della propria
realtà in un nuovo contesto, con una nuova attrezzatura. Vengono in
mente le parole di T.E. Eliot (citate da Brenman, 2002, p.121):
“Non cesseremo di esplorare
e alla fine dell’esplorazione
saremo al punto di partenza
sapremo il luogo per la prima volta”.
A mio parere è significativo notare che questa esperienza può essere
vissuta, e il senso di queste parole colto, solo se si è in una dimensione
di tempo lineare e non circolare, un tempo aperto al futuro, non
chiuso nella ripetizione.

Tecnologia/esistenzialità
Scopi dell’analisi/scopi della vita
La difficoltà del vivere/cavarsela

L’analista è chiamato a fare il lutto di sé come persona. Il lutto dei
contenuti specifici, lasciando depositare, senza perderla, la qualità
dell’esperienza. Ne consegue un’assenza e una presenza. L’assenza è il
non condizionamento delle vicende particolari della vita dell’analista, la
presenza il depositato esistenziale che ne è rimasto.
Come l’analista è, condiziona il modo in cui partecipa alla relazione;
influenza e parzialmente orienta il dialogo analitico. Sue emozioni,
affetti, pensieri, non necessariamente espressi, filtrano nel contesto
duale, attivano reciproche comunicazioni inconsce. Le sue scelte
esprimono comunque – in una certa misura – una sensibilità
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