Page 52 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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consapevole, ma implicita e direttamente operativa, percepibile negli
esiti di un tatto che non è inibizione e di una schiettezza e di una
disponibilità ad affrontare i nodi che sanno evitare la spavalderia.
L’oggetto superegoico non incombe e non è assunto in
un’identificazione maniacale.

Andare bene/non andare bene
Accettazione (sentirsi accettato)/cambiamento
Sostare/muoversi
Spostarsi/ritornare

Il paziente – in variabile misura forse qualunque paziente – è in una
posizione complicata, costretto a barcamenarsi rispetto a esigenze in
parte contraddittorie. Tra il bisogno, talvolta persino spasmodico, di
sentirsi accettato, voluto, benvoluto dall’analista e da se stesso e quello
56 che lo fa soffrire e che vorrebbe cambiare, più spesso forse eliminare,
ma non sa come, a che prezzo, a che livello di sofferenza –
sopportabile o insopportabile – dentro di sé e col suo analista. Se è
possibile e se ne vale la pena. Prende corpo in quest’area l’ethos
profondo della presenza interattiva dell’analista: l’essere intenzionata e
insieme non esigente. Conta in questo quanto l’analista accetti se
stesso, con i chiaroscuri di una riparazione che ha potuto essere
soltanto parziale, con il senso dell’esperienza compiuta nella propria
analisi e nella vita, soprattutto con l’esperienza della perdita e insieme
dell’apertura: l’analisi comincia quando le sedute finiscono, è stato
detto, scherzosamente, ma non troppo. Conta l’idea che l’analista ha
dell’analisi come esperienza di trasformazione, come le cose possono
cambiare e come “sentire” il cambiare: un cambiare effettivo e un
cambiare solo apparente. Piccoli cambiamenti percettibili: tutto sembra
come prima ma non è così: l’analista se ne accorge ma non –
consciamente – il paziente. O ancora: tutto sembra come prima ma
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