Page 86 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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are le opere di bonifica, anche a costo di continuare a vivere sotto 91
tetti di eternit che “tanto sono lì da sempre”.
Sentimenti, quelli fin qui descritti, che si presentificavano nel gruppo
come sabbie mobili che impaludavano il cammino verso una nuova
progettualità rispetto al territorio e che spingevano nella direzione di
una comunità che si descriveva attraverso i morti.
In questo senso, fin dalle prime sedute a livello controtransferale ci è
apparso chiaro che ci veniva chiesto di confrontarci con un vissuto
ben preciso: come fare a sopravvivere al vuoto di esistenza e di
significato (Borgogno, 1999, 2011) che congelava gli aspetti vitali della
popolazione. Un vuoto che si presentificava a diversi livelli: per noi
terapeuti erano le numerose sedie vuote, per i casalesi era il vuoto
prodotto dalle numerose morti; infine, per chi portava avanti l’opera di
denuncia si trattava del vuoto conseguente al dire ciò che non si poteva
dire.
Vissuti che sono stati affrontati solo dopo aver potuto metabolizzare
l’alto livello di angoscia portato da chi il torto l’aveva subito da vicino
e urlava il suo dramma (anche nel gruppo), nel tentativo di vedere
confermata una verità che il resto della popolazione non poteva né
perseguire né ascoltare a causa di continui meccanismi inconsci di
negazione e scissione, necessari per vivere a Casale senza
sperimentare angoscia (Bromberg, 1998)4.
Lentamente durante le sedute è emerso come la rabbia dei familiari
divenisse più concreta nel momento in cui risultava pregnante la
perdita di speranza nel fatto che la sorte risparmiasse il proprio caro. A
morte avvenuta, i familiari “sopravvissuti” si erano spesso sentiti
“messi da parte” dalla cittadinanza, quasi si dovessero vergognare di

4 È noto che le vittime quando denunciano un reato, ancor prima che un risarcimento, ricercano
dalle persone a cui si rivolgono (in particolare dagli enti che sul territorio rappresentano la
giustizia come le Forze dell’Ordine) la conferma di ciò che è avvenuto loro. In questo senso,
anche come terapeuti siamo stati chiamati ad assolvere una funzione di testimonianza, che ha
implicato il riconoscimento e la convalida degli aspetti scissi e congelati dall’impatto con il
trauma (Boulanger, 2008; Ullman, 2006).
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