Page 87 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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aver perso un proprio caro in un modo che angosciava tutti perché
dimostrava e ricordava la pericolosità del luogo in cui si continuava a
vivere. Per la grande maggioranza delle vittime, la via di uscita da
questa solitudine forzata spesso è passata attraverso l’Associazione
dei Familiari Vittime dell’Amianto assumendo una nuova identità di
gruppo, permeata di rivendicazione, accusa, organizzazione5.
A seguito del lavoro psicologico, le persone che componevano il
gruppo e anche noi operatori siamo riusciti ad andare oltre la rabbia e
le sue diverse espressioni e abbiamo trovato la forza di accogliere ciò
che non è mai facile accogliere, ma che sappiamo essere assolutamente
necessario accogliere, ossia il dolore indicibile prodotto dai numerosi
lutti a cui erano tutti esposti in quanto popolazione (Narracci,
Borgogno F.V. & Granieri, 2010). Nel gruppo in questo senso diveniva
via via più chiaro e comprensibile il tentativo inconscio dei familiari di
tener vivi i morti a loro cari non elaborandone mai davvero la morte
(forse perché non sarà mai del tutto elaborabile una quantità di
sofferenza così massiva e “senza senso”) e quindi procrastinando la
92 possibilità di una vera differenziazione “in vita” da queste persone
morte.
È stato il clima emozionale in cui si son svolti gli incontri a
permettere che le persone che hanno composto il gruppo iniziassero
a poter sviluppare le proprie capacità individuali e che la qualità del
pensiero di ciascuno ricevesse stimoli reciproci. Grazie a molti mesi di
lavoro si è sviluppata progressivamente una “conoscenza emotiva”
nuova, condivisa, in grado di far sì che i partecipanti potessero iniziare
a riscoprire le proprie e altrui emozioni e a poterne parlare
liberamente, nel tentativo condiviso di trovare una strada per elaborare
l’evento traumatico e la sua intensità nella direzione di una maggiore

5 Il processo di Torino potrebbe allora essere letto come il concretizzarsi di questi aspetti di
resilienza nella lotta contro i proprietari dell’Eternit (Granieri, 2008, 2013), ma anche come
conseguenza della rivendicazione (Böhm & Kaplan, 2012) e del dirigere verso la fonte del trauma
la rabbia e gli impulsi distruttivi che albergano nelle vittime (Varvin & Volkan, 2003).
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