Page 89 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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Solo con il tempo siamo riuscite a comprendere il significato delle
numerose sedie vuote che affollavano la stanza. Per ogni persona
che si presentava ne venivano evocate diverse altre. La persona era
concreta, i soggetti evocati erano i fantasmi dei morti. In questo senso,
sebbene non ci fossero i parenti in carne e ossa c’erano i loro
fantasmi, rimasti vivi nella mente dei congiunti. I partecipanti, infatti,
faticavano a separarsi dai loro cari e con il coinvolgimento attivo nel
processo Eternit tentavano di mantenerli vivi senza poter davvero
elaborare la loro inaccettabile perdita. Le numerose sedie vuote in una
grande sala testimoniavano ogni martedì il dramma di Casale: non vi
erano numerosi malati, bensì numerosi fantasmi che a tratti prendevano
la parola nei ricordi dei familiari presenti al gruppo.
Lentamente i ricordi sono andati a costituire una trama di storie
familiari dapprima descritte nel loro evolvere naturale (si vive insieme,
si cerca lavoro, si concepiscono bambini...), ma poi improvvisamente
toccate dalla diagnosi fatale.
Un elemento importante si affacciava in momenti diversi all’interno del
94 gruppo: nella popolazione ogni nuovo momento di consapevolezza
comportava il confronto con una “marea”, una sorta di tsunami che si
abbatteva sulla comunità. Ad esempio, quando i Casalesi hanno
scoperto di essere cittadini contaminati e contaminabili, purtroppo i
nuovi dati epidemiologici li vedevano già primi per numero di morti. A
questo proposito è utile ripensare alla dialettica immunitas-communitas,
nell’accezione descritta da Ambrosiano e Gaburri (2013).
Individuandosi nel gruppo, i Casalesi sentivano di poter tornare a fare
base sull’essere singoli e vivi, con nella mente il gruppo dei familiari
defunti. In questo modo, si avvicinavano in quanto soggetti a una
posizione stabile di immunitas e potevano aprirsi alla communitas, ma
così facendo intercettavano la specifica sorte della loro comunità, una
comunità predestinata. Raggiunta questa condizione psichica, si è
potuto realizzare nel gruppo il transito di quegli aspetti esistenziali che
si configuravano come modalità di sopravvivere, escogitate per
tollerare un dolore altrimenti impensabile.
numerose sedie vuote che affollavano la stanza. Per ogni persona
che si presentava ne venivano evocate diverse altre. La persona era
concreta, i soggetti evocati erano i fantasmi dei morti. In questo senso,
sebbene non ci fossero i parenti in carne e ossa c’erano i loro
fantasmi, rimasti vivi nella mente dei congiunti. I partecipanti, infatti,
faticavano a separarsi dai loro cari e con il coinvolgimento attivo nel
processo Eternit tentavano di mantenerli vivi senza poter davvero
elaborare la loro inaccettabile perdita. Le numerose sedie vuote in una
grande sala testimoniavano ogni martedì il dramma di Casale: non vi
erano numerosi malati, bensì numerosi fantasmi che a tratti prendevano
la parola nei ricordi dei familiari presenti al gruppo.
Lentamente i ricordi sono andati a costituire una trama di storie
familiari dapprima descritte nel loro evolvere naturale (si vive insieme,
si cerca lavoro, si concepiscono bambini...), ma poi improvvisamente
toccate dalla diagnosi fatale.
Un elemento importante si affacciava in momenti diversi all’interno del
94 gruppo: nella popolazione ogni nuovo momento di consapevolezza
comportava il confronto con una “marea”, una sorta di tsunami che si
abbatteva sulla comunità. Ad esempio, quando i Casalesi hanno
scoperto di essere cittadini contaminati e contaminabili, purtroppo i
nuovi dati epidemiologici li vedevano già primi per numero di morti. A
questo proposito è utile ripensare alla dialettica immunitas-communitas,
nell’accezione descritta da Ambrosiano e Gaburri (2013).
Individuandosi nel gruppo, i Casalesi sentivano di poter tornare a fare
base sull’essere singoli e vivi, con nella mente il gruppo dei familiari
defunti. In questo modo, si avvicinavano in quanto soggetti a una
posizione stabile di immunitas e potevano aprirsi alla communitas, ma
così facendo intercettavano la specifica sorte della loro comunità, una
comunità predestinata. Raggiunta questa condizione psichica, si è
potuto realizzare nel gruppo il transito di quegli aspetti esistenziali che
si configuravano come modalità di sopravvivere, escogitate per
tollerare un dolore altrimenti impensabile.