Page 25 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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fessionale, il paziente, (…) fornirà ed esporrà (…) i suoi 27
problemi…» (ibid., p. 16).
Sebbene Winnicott avesse ovviamente chiari sia i possibili fallimenti
nella costruzione del mondo interno e degli oggetti esterni, sia come
proprio l’evoluzione degli oggetti transizionali si accordi alle
caratteristiche dello sviluppo, tanto nella sua normalità quanto nella sua
psicopatologia (Green, 2001), in effetti nei ventuno casi da lui descritti
nei Colloqui terapeutici solo il caso di George (caso XXI, pp. 431-448),
che chiude la raccolta, è – a detta dell’autore – non trattabile
adeguatamente con la tecnica dello scarabocchio, e ciò in ragione di
un’assoluta gravità4. A fronte di una marcata dissociazione che non
consentiva al ragazzo l’accesso al proprio mondo onirico, alla presenza
di oggetti parziali e al fatto che il ragazzo avesse ricordato un sogno
proprio in connessione al colloquio con Winnicott, egli aveva valutato
che «… se avessi avuto altri due o tre colloqui con George mi sarei
trovato coinvolto nei suoi sogni, perciò avrei dovuto seguirlo da vicino
e molto attentamente ed io non potevo farlo» (Winnicott, 1971a, pp.
445-446). In altre situazioni il lavoro è possibile se la rigidità delle
difese del paziente non è troppo accentuata e se l’ambiente
«precedentemente senza speranza e senza possibilità di aiuto» può
diventare “efficace e promettente” (ibid., p. 431).
Ciò che colpisce in tutta questa ricca documentazione sono la
possibilità e la (relativa) facilità, quando non immediatezza, con le quali
si instaura tra clinico e paziente una relazione significativa. Distinguere
quale fosse il contributo ascrivibile alle doti personali di Winnicott, e
quale alle caratteristiche strutturali o psicopatologiche dei suoi
interlocutori o dell’ambiente5, non è rilevante per gli scopi del presente
4 Analizzando i casi riportati da Winnicott, si vede che nei primi venti casi esposti (ovvero tutti
tranne quello di George), tutti i pazienti hanno raggiunto l’Edipo. I pazienti molto disturbati
(autistici, depressi, inquieti ecc.) non sono capaci di giocare; in tali casi il raggiungimento della
capacità di giocare, che ha in sé la possibilità di reciprocità, è uno degli obiettivi primi.
5 Winnicott riponeva una grande fiducia nella possibilità di mobilitare le capacità terapeutiche e
riparative dell’ambiente, anche attraverso il lavoro di un solo colloquio. Aveva, infatti, notato che
anche nei casi in cui i bambini presentavano problemi clinici acuti, i cambiamenti cui andavano
incontro nel corso della consultazione potevano essere sfruttati dalla famiglia e dalla scuola che, in
problemi…» (ibid., p. 16).
Sebbene Winnicott avesse ovviamente chiari sia i possibili fallimenti
nella costruzione del mondo interno e degli oggetti esterni, sia come
proprio l’evoluzione degli oggetti transizionali si accordi alle
caratteristiche dello sviluppo, tanto nella sua normalità quanto nella sua
psicopatologia (Green, 2001), in effetti nei ventuno casi da lui descritti
nei Colloqui terapeutici solo il caso di George (caso XXI, pp. 431-448),
che chiude la raccolta, è – a detta dell’autore – non trattabile
adeguatamente con la tecnica dello scarabocchio, e ciò in ragione di
un’assoluta gravità4. A fronte di una marcata dissociazione che non
consentiva al ragazzo l’accesso al proprio mondo onirico, alla presenza
di oggetti parziali e al fatto che il ragazzo avesse ricordato un sogno
proprio in connessione al colloquio con Winnicott, egli aveva valutato
che «… se avessi avuto altri due o tre colloqui con George mi sarei
trovato coinvolto nei suoi sogni, perciò avrei dovuto seguirlo da vicino
e molto attentamente ed io non potevo farlo» (Winnicott, 1971a, pp.
445-446). In altre situazioni il lavoro è possibile se la rigidità delle
difese del paziente non è troppo accentuata e se l’ambiente
«precedentemente senza speranza e senza possibilità di aiuto» può
diventare “efficace e promettente” (ibid., p. 431).
Ciò che colpisce in tutta questa ricca documentazione sono la
possibilità e la (relativa) facilità, quando non immediatezza, con le quali
si instaura tra clinico e paziente una relazione significativa. Distinguere
quale fosse il contributo ascrivibile alle doti personali di Winnicott, e
quale alle caratteristiche strutturali o psicopatologiche dei suoi
interlocutori o dell’ambiente5, non è rilevante per gli scopi del presente
4 Analizzando i casi riportati da Winnicott, si vede che nei primi venti casi esposti (ovvero tutti
tranne quello di George), tutti i pazienti hanno raggiunto l’Edipo. I pazienti molto disturbati
(autistici, depressi, inquieti ecc.) non sono capaci di giocare; in tali casi il raggiungimento della
capacità di giocare, che ha in sé la possibilità di reciprocità, è uno degli obiettivi primi.
5 Winnicott riponeva una grande fiducia nella possibilità di mobilitare le capacità terapeutiche e
riparative dell’ambiente, anche attraverso il lavoro di un solo colloquio. Aveva, infatti, notato che
anche nei casi in cui i bambini presentavano problemi clinici acuti, i cambiamenti cui andavano
incontro nel corso della consultazione potevano essere sfruttati dalla famiglia e dalla scuola che, in