Page 19 - IL VASO DI PANDORA XXIV n. 1 2016
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migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale della comunità lavorativa” (Avallone, Paplomatas, 2005). Dunque, la salute di un‟organizzazione non può più essere valutata solo a partire dalla qualità del suo funzionamento e dalla sua capacità di produrre i risultati desiderati a costi contenuti, ossia sulla base della sua efficienza, efficacia ed economicità. Queste peraltro imprescindibili componenti vanno infatti necessariamente integrate con la capacità di generare e mantenere il benessere organizzativo, ovvero quel complesso di condizioni che incorpora i due concetti precedenti, il rispetto del contratto psicologico e la responsabilità sociale d‟impresa, ma include anche: - il rispetto della persona (Sennett, 2003); - la soddisfazione lavorativa (job satisfaction); - la riduzione dell‟ansia e dello stress; - la prevenzione del rischio e del burnout; 21 - il contenimento delle emozioni “tossiche” (come l‟invidia, la paura e la rivalità) e del loro impatto sul comportamento organizzativo; - l‟attenzione per i costi umani, fisici, emotivi e sociali, dell‟esercizio dei diversi ruoli organizzativi, di leadership come di followership. Se questi principi possono sembrare scontati per le organizzazioni del welfare (ma in effetti a ben vedere non lo sono affatto), la loro applicazione al mondo dell‟impresa e del profitto, cioè alle organizzazioni industriali, finanziarie e del terziario, rappresenta una sostanziale novità, che nella maggior parte dei casi viene subita come un obbligo inevitabile, una sorta di balzello, o addirittura come una minaccia o un corpo estraneo. Come si è detto, da sempre l‟impresa si considera sana se è ben gestita, se è produttiva, se cresce e se crea valore per gli azionisti. Ma negli ultimi anni il suo comportamento e quello del suo top management sono diventati una crescente
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