Page 69 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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ità, in alcuni suoi aspetti – sorpresa e incanto, scoperta e 73
appagamento, persino una certa suggestione idealizzante – abbia
qualcosa che rimanda al primo amore: il primo amore della mamma, il
primo amore dei propri anni verdi.

Suffer/endure
Sentire/resistere

Quante volte mi è capitato di leggere o di trovare citata
quell’affermazione di Bion secondo cui il paziente che non “soffre’’
(suffer) il dolore, non riesce a ‘‘soffrire’’ nemmeno il piacere! Tutte le
volte è stato per me uno stimolo a riflettere. Mi è stato di aiuto il
chiarimento di Britton (1994), secondo cui l’uso del verbo “to suffer”
per Bion condensa due significati: oltre a quello più abituale, anche
quello – proprio dell’uso antico – di ‘‘consentire’’ (allow), come
nell’espressione “Lasciate che i pargoli vengano a me’’ (“suffer little
children to come unto me’’), un permettersi di lasciar entrare, di
sperimentare. Aggiunge Grotstein (2007) che il contenimento aiuta il
paziente a ‘‘patire (suffer)’’ e non a “sopportare con determinazione
(endure)’’, ma ciecamente, la sofferenza delle esperienze affettive. È
una pietra miliare nell’accoglimento, nella comprensione e nella
trasformazione degli stati mentali. Vale per il paziente e per l’analista.
Ma quante volte capita all’analista di trovarsi nella bufera, di essere
sballottato e brancolare, di essere in difficoltà e non trovare una via.
Può allora temporaneamente stringere i denti, mantenere una presenza
salda anche se vagamente opaca: “endure’’ appunto. Un “resistere’’,
forse parzialmente difensivo, ma il meglio che si possa fare in quel
momento. È un tessuto connettivo di sostegno, certo fibroso e di
funzionamento meno raffinato rispetto a tessuti più nobili, ma utile,
persino prezioso: una capacità di sopportare (non masochistico) che
può essere una risorsa a cui attingere.
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