Page 72 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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questi aspetti. Sono convinto che valgano pure per l’analista: nel suo
lavoro, non solo nella sua vita. Così i due attori della scena analitica, nel
loro incontro e nei loro scambi, sono entrambi impegnati in complessi
e paralleli percorsi interiori. Un certo tipo di sicurezza non aiuta: “la
posizione depressiva di ieri diventa l’organizzazione patologica di
domani”. “Abbandonare la sicurezza della coerenza della posizione
depressiva per una nuova tornata di incertezze persecutorie e
frammentate” può favorire lo sviluppo: succede allora che “spazio
triangolare e pensiero riflessivo siano perduti, fino a quando non
saranno riguadagnati in una nuova posizione depressiva” la cui forma
però al momento “non è solo sconosciuta, ma inimmaginabile”.
Per poter stare vicino al paziente, l’analista sta vicino a se stesso.
Seduta dopo seduta, giorno dopo giorno, è messo a confronto con la
propria natura, con quello che può affrontare e quello che
desidererebbe evitare. Anche con quello di sé che – inevitabilmente –
impronta lo stile del proprio operare. Con la capacità di usare
l’esperienza per aprire/aprirsi a un più ampio sentire, e la tendenza a
76 usare la propria competenza, e anche la stessa propria esperienza, non
per capire ma per non pensare. Oltre a se stesso uno non può andare,
ma certe cose di sé possono cambiare. Può capitare così che
inavvertitamente, quasi senza accorgersene, l’analista si renda conto –
non senza un certo stupore – di essere sì sempre lo stesso, ma anche
un po’ diverso. È forse anche il frutto dell’impegno alla prossimità con
se stesso nel suo lavorare, alla disponibilità a sottrarsi a comode
scappatoie, al dar valore alla vicinanza e insieme al sentirla come non
facile e scontata, ma uno stato che richiede un costante movimento e
lavoro interiori. I buoni incontri che l’analista ha avuto e continua ad
avere sono stati e sono occasioni preziose, ma poi è solo,
nell’interminabile percorso.
“…in fondo al viaggio Itaca non c’è, non c’è mai stata. I Proci non
sono là a insidiarti la vita, sono con te, confusi sulla tolda, magari al
timone. A tua volta potresti essere, senza saperlo, uno di loro. E
neppure Penelope c’è, sei tu a prendere tempo, con la tua saggezza, in
lavoro, non solo nella sua vita. Così i due attori della scena analitica, nel
loro incontro e nei loro scambi, sono entrambi impegnati in complessi
e paralleli percorsi interiori. Un certo tipo di sicurezza non aiuta: “la
posizione depressiva di ieri diventa l’organizzazione patologica di
domani”. “Abbandonare la sicurezza della coerenza della posizione
depressiva per una nuova tornata di incertezze persecutorie e
frammentate” può favorire lo sviluppo: succede allora che “spazio
triangolare e pensiero riflessivo siano perduti, fino a quando non
saranno riguadagnati in una nuova posizione depressiva” la cui forma
però al momento “non è solo sconosciuta, ma inimmaginabile”.
Per poter stare vicino al paziente, l’analista sta vicino a se stesso.
Seduta dopo seduta, giorno dopo giorno, è messo a confronto con la
propria natura, con quello che può affrontare e quello che
desidererebbe evitare. Anche con quello di sé che – inevitabilmente –
impronta lo stile del proprio operare. Con la capacità di usare
l’esperienza per aprire/aprirsi a un più ampio sentire, e la tendenza a
76 usare la propria competenza, e anche la stessa propria esperienza, non
per capire ma per non pensare. Oltre a se stesso uno non può andare,
ma certe cose di sé possono cambiare. Può capitare così che
inavvertitamente, quasi senza accorgersene, l’analista si renda conto –
non senza un certo stupore – di essere sì sempre lo stesso, ma anche
un po’ diverso. È forse anche il frutto dell’impegno alla prossimità con
se stesso nel suo lavorare, alla disponibilità a sottrarsi a comode
scappatoie, al dar valore alla vicinanza e insieme al sentirla come non
facile e scontata, ma uno stato che richiede un costante movimento e
lavoro interiori. I buoni incontri che l’analista ha avuto e continua ad
avere sono stati e sono occasioni preziose, ma poi è solo,
nell’interminabile percorso.
“…in fondo al viaggio Itaca non c’è, non c’è mai stata. I Proci non
sono là a insidiarti la vita, sono con te, confusi sulla tolda, magari al
timone. A tua volta potresti essere, senza saperlo, uno di loro. E
neppure Penelope c’è, sei tu a prendere tempo, con la tua saggezza, in