Page 70 - Il vaso di Pandora XXII n.2 2014
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Selettività/inclusività
Qualunque cosa dica o faccia, l’analista fa una scelta. La scelta per
eccellenza è quella che bionianamente si chiama, appunto, “fatto
scelto’’ o “selezionato’’. Non è ovviamente l’unica. Ma come si sceglie?
Cosa si prende e cosa si lascia cadere, e con quale approccio emotivo?
Scegliere significa necessariamente escludere, il de-cidere anche
etimologicamente rimanda al tagliare. Ma in che modo avviene, e con
quali conseguenze? Qual è la calibratura, la taratura della sensibilità
dell’analista che vi porta? Dove vanno a finire – nella mente
dell’analista e in quella del paziente – i fatti emotivi che non sono stati
raccolti: nell’analista restano al di là di una paratia semipermeabile o c’è
un’opposizione attiva a farli entrare, o rientrare? E nel paziente, cosa
succede?
Consideriamo la risposta del paziente all’interpretazione. Ci si può
concentrare su quello che il paziente dice, sente o fa immediatamente
dopo, nell’attualità della seduta ritenendo che comunque il presente
74 porti in sé, a un qualche livello e in una certa misura, un po’ del
passato, anche inconsapevole, al di là di quello consciamente ricordato,
e fare uso del controtransfert come di uno strumento prezioso (prima
possibilità). Ma può anche accadere che associazioni del paziente,
atmosfera della seduta, controtransfert non aiutino a sufficienza a cogliere
il senso della situazione se l’interpretazione ha fatto risuonare nuclei
emotivi profondi, collegati alla storia del paziente, ma oscuri all’analista
e al paziente stesso rispetto ai quali quello che è più immediatamente
disponibile nella seduta è soprattutto una reazione. C’è qui il rischio
che un uso estensivo e non accorto del controtransfert risulti fuorviante
(seconda possibilità).
Molto spesso in realtà capiamo poco, o in modo molto parziale.
Cambia però se questo nasce da una nostra precostituita unilateralità
che tiene fuori qualcosa, larvatamente ma attivamente.
Qualunque cosa dica o faccia, l’analista fa una scelta. La scelta per
eccellenza è quella che bionianamente si chiama, appunto, “fatto
scelto’’ o “selezionato’’. Non è ovviamente l’unica. Ma come si sceglie?
Cosa si prende e cosa si lascia cadere, e con quale approccio emotivo?
Scegliere significa necessariamente escludere, il de-cidere anche
etimologicamente rimanda al tagliare. Ma in che modo avviene, e con
quali conseguenze? Qual è la calibratura, la taratura della sensibilità
dell’analista che vi porta? Dove vanno a finire – nella mente
dell’analista e in quella del paziente – i fatti emotivi che non sono stati
raccolti: nell’analista restano al di là di una paratia semipermeabile o c’è
un’opposizione attiva a farli entrare, o rientrare? E nel paziente, cosa
succede?
Consideriamo la risposta del paziente all’interpretazione. Ci si può
concentrare su quello che il paziente dice, sente o fa immediatamente
dopo, nell’attualità della seduta ritenendo che comunque il presente
74 porti in sé, a un qualche livello e in una certa misura, un po’ del
passato, anche inconsapevole, al di là di quello consciamente ricordato,
e fare uso del controtransfert come di uno strumento prezioso (prima
possibilità). Ma può anche accadere che associazioni del paziente,
atmosfera della seduta, controtransfert non aiutino a sufficienza a cogliere
il senso della situazione se l’interpretazione ha fatto risuonare nuclei
emotivi profondi, collegati alla storia del paziente, ma oscuri all’analista
e al paziente stesso rispetto ai quali quello che è più immediatamente
disponibile nella seduta è soprattutto una reazione. C’è qui il rischio
che un uso estensivo e non accorto del controtransfert risulti fuorviante
(seconda possibilità).
Molto spesso in realtà capiamo poco, o in modo molto parziale.
Cambia però se questo nasce da una nostra precostituita unilateralità
che tiene fuori qualcosa, larvatamente ma attivamente.