Libri

Progetto HORIZON, diario di un’esperienza

Progetto HORIZON, diario di un’esperienza

Biblioteca “IL VASO DI PANDORA”

2001 Edizioni La Redancia
COD: R003
€ 5,16



Introduzione di Giovanni Giusto
Le esperienze che seguono descrivono un percorso che, attraverso l’impegno di molti, delinea una prospettiva: la possibilità di realizzare interventi che riescono a modificare le condizioni di vita di persone con disturbi psichiatrici gravi (schizofrenia, disturbi di personalità, ecc.) che altrimenti sarebbero inseriti nel classico circuito psichiatrico in cui l’attenzione è centrata sul sintomo e sul suo contenimento piuttosto che sulla persona e sulle sue potenzialità creative. 
Lo scopo del nostro sforzo è stato quello di permettere un riconoscimento: dell’umanità di persone destinate ad essere altrimenti emarginate, della capacità di operatori di spendere qualcosa del proprio in una relazione intensa ed autentica, della/orza di un’idea comune che giunge a termine.
La Polena, la nuova cooperativa sodale, fondata alla fine del progetto SPINNAKER, rappresenta un po’ tutto questo. È soprattutto un risultato tangibile per noi e per i nostri pazienti; penso che tutti si abbia bisogno di poter “vedere” dei risultati piuttosto che sentire sterili spiegazioni sull’impossibilità di ottenerli: non è infrequente che persone capaci e motivate debbano subire la presunzione di dirigenti stolti e incapaci di mettersi in discussione. Sostanzialmente la proposta è questa così come il senso complessivo della nuova pubblicazione. Accettiamo di confrontarci con i nostri limiti e le nostre incapacità individuali e riscopriamo nelle potenzialità altrui la possibilità di tracciare nuovi percorsi. 

 Dal teatro, e col teatro, all’autoaiuto di Roberta Antonello:
L’esperienza teatrale, il corso e la conclusione nell’ allestimento di uno spettacolo, la presentazione dello stesso in contesti diversi, la formazione infine di una cooperativa teatrale ha avuto, come già riferito da altri, un valore terapeutico riabilitativo inaspettato ed importante. 
Quello che io voglio evidenziare è lo sviluppo di capacità di solidarietà, autostima, tolleranza, insight, critica, capacità di autoironia ed infine di divertirsi che si sono concretizzate nella costituzione di un gruppo di amici, che fa self help. 
Premetto che nessuno di noi aveva in mente qualcosa di particolare sull’ auto aiuto e sostanzialmente era un Individualista” come diceva un membro del gruppo di auto aiuto due sere fa durante la nostra cena riunione settimanale si era un po’ asociali, come tutti i “matti”, e la solidarietà era difficile. 
All’inizio del corso teatrale i primi incontri in aula vedevano da una parte gli studenti dall’altra gli insegnanti impegnati nei soliti compiti di individuazione di capacità e competenze, interessi ed esperienze che fossero premessa al lavoro. La discussione scarseggiava e, quando Cera, era sollecitata. 
E vero che la maggior parte proveniva da un contesto comunitario dove avvenivano riunioni e dove ci si conosceva due partecipanti avevano una relazione sentimentale ma la barriera tra esperti e discenti era più o meno ben marcata a dispetto dei sorrisi, delle pacche sulle spalle e degli incoraggiamenti. 
Qualcuno si distraeva e si allontanava e l’insegnante lo cercava dolcemente o perentoriamente, qualcuno si svagava o diceva che era stanco, altri si mettevano in lizza tra di loro per dire la cosa più furba, più intelligente, più importante. 
Una volta si discusse in maniera accesa su uno spettacolo (non il .saggio” finale) che bisognava portare in scena utilizzando testi “non autoprodottí” e, soprattutto, non propriamente condivisi da tutti perché fortemente antipsichiatrici. 
La personalità di alcuni venne fuori più chiaramente e le decisioni furono più autonome. Sembrava che ci si risvegliasse nella ribellione. Lo spettacolo guidato si fece, ebbe successo. 
L’indubbia competenza tecnica dei formatori aveva messo a silenzio le perplessità e smorzato le polemiche, ma era nato qualcosa: la capacità di dissentire e discutere coi formatori, abbastanza da pari visto che il teatro era un terreno neutro. Non si trattava di parlare di benessere o malattia, ma di accordo su fare o non fare una cosa, sulla piacevolezza o meno. Intanto nel gruppo dei formatori non Cera un unanime accordo, come del resto è naturale se un gruppo è formato da persone diverse e con diverse esperienze alle spalle. 
Se c’è chi privilegia l’aspetto psicologico perché è il suo mestiere, c’ è chi invece fa l’attore o si diletta in regia e di malati mentali non ne sa nulla, oppure chi è portato a condurre o a farsi condurre da quello che vede e chi maggiormente si preoccupa del risultato per mandato istituzionale, o del successo della rappresentazione di fronte ad un pubblico “vero”. Insomma all’inizio dell’ingresso in teatro per molti non c’era un accordo, per altri c’era un disaccordo e per i ragazzi c’erano tante figure più o meno simpatiche a cui non tanto rivolgersi, ma con cui discutere. I ragazzi, durante l’allestimento del secondo spettacolo, hanno espresso il bisogno di un 1eader”, una guida unica cui appellarsi. 
Quando è stato chiarito che questa figura non esisteva, né poteva esistere in futuro hanno incominciato a dibattersi più accanitamente sullo spettacolo, a commentarsi, e la rivalità si è mescolata alla solidarietà con sempre maggiori reciproci complimenti. Ai formatori si è rimandata una capacità critica che forse non ci sarebbe stata se questi fossero stati come quelli del primo spettacolo, fortemente guidato nei testi e nella tecnica. 
Litigare o collaborare? 
I formatori hanno un po’ dissentito dai tecnici paventati che i loro assistiti fossero esposti a traumi insopportabili; i ragazzi hanno mostrato di limitare le loro ricadute in trasgressioni non tragiche, qualche bevuta, qualche malessere, ma sempre l’intenzione di continuare; gli attori hanno incominciato a temere che uno spettacolo che cresceva così a più mani, in mano ai ragazzi e a gente diversa, potesse essere una cosa sgradevole. 
La sceneggiatura veniva scritta da Andrea: il regista la vedeva in un modo, ma alcune attrici sostenevano che ci volesse più spettacolo e meno discorsi, cosa che invece i ragazzi sembravano prediligere. Questa descrizione mi serve per farvi percepire la vivacità della comunicazione interna, la socialità, la capacità di dissentire senza distruggere perché una cosa era certa, lo spettacolo andava fatto ed ognuno trovava interessante quello che scriveva, recitava o consigliava, a volte anche troppo interessante, a scapito di altro. 
Ma nell’ultima fase in un modo forse sbalorditivo per tutti si èmesso insieme quello che tutti avevano prodotto: formatori e discenti. Cosa era successo? 
Intanto, rispetto ai ragazzi, l’investimento avveniva per la prima volta su una cosa propria, ma soprattutto su una rappresentazione che avevano creato loro, o meglio erano stati aiutati in questo da normodotati o superdotati, ma indubbiamente, il loro contributo era stato fondamentale: avevano potuto fortemente incidere nel testo, nella scena, nei costumi ecc. 
Avevano trovato persone diverse con diverse capacità, abilità e difetti. 
Avevano capito che se non si lamentavano, non si facevano sentire, questi pur bravi formatori finivano per viaggiare ognuno per la propria strada e che, quindi, il loro gruppo era fondamentale: dovevano mettersi d’accordo per chiedere questo al regista e quell’altro all’attrice. 
Avevano imparato a tenersi uniti, chiamarsi, incoraggiarsi perché la realtà delle difficoltà da affrontare imponeva questo. 
Ora il giorno dello spettacolo e degli spettacoli successivi, compresa una importante trasferta in un teatro di una importante città lontana, vedeva dietro le quinte lo spettacolo commovente e rivelatore delle straordinarie capacità di auto aiuto, di benevolenza, incoraggiamento, sopportazione, preoccupazione ecc. ecc. che mai in comunità avevo trovato. 
E siccome lo spettacolo era la loro realtà, abbiamo deciso di continuare ad affrontare la realtà del mondo, della dimissione dalla comunità, delle difficoltà della realtà ancora in questo modo, finito lo spettacolo. 
Ecco una parte di riunione: 
Walter: in dimissione da un alloggio protetto 
Chiara: convivente di Andrea V. 
Federico: dimesso, in appartamento 
Andrea M.: in alloggio protetto 
Andrea V.: dimesso 
Roberta: (facilitatrice) scrivente 
 
Walter: Il dottore con me si è comportato molto male. Ieri non riuscivo a dormire gli ho telefonato, lui mi ha detto: ‘prendi mezza pastiglia e richiama alle nove di domattina’ Robe da matti… Quel medico mi fa sempre storie sulle terapie. Poi cosa c’entra sveglíarsi alle nove. Io quando prendo la terapia che voglio vado a letto alle otto di sera e mi sveglio all’una di mattina, e per questo mi fanno un sacco di storie. 
Chiara: Cercano di darti un’autoregolamentazione adesso che devi uscire. E’ il tuo dottore. 
W.: Non mi interessano i suoi propositi, se è il mio dottore deve darmi l’altra metà della pastiglia, così io dormo bene. lo voglio dormire, di quello che succede di giorno me ne strapallo. 
Federico: lo prendo una terapia, che dopo un anno non la senti più è come se non prendessi niente. Credo che sia un diritto farsi cambiare la terapia. 
W.: lo comunque mi sono sentito veramente male quando ieri il dottore mi ha trattato così, ho pensato basta, ma basta! 
Andrea M.: L’altra sera però tu hai detto davanti al dottore, con una bottiglia mi sentivo da dio, era come prendere un roipnol. 
W.: Hanno eliminato un sacco di farmaci come il roipnol.. 
Andrea E: Tu devi prendere un farmaco come terapia, non pensando allo sballo, al fatto che ti fa stare bene.. 
E: Le terapie van prese in modo onesto, sei calmo, ma non sei fuori di testa 
C: lo ho notato che Andrea (V) si sveglia prima, da quando fa la nuova terapia, prima erano le quattro del pomeriggio, ora sono le due. Ma io patisco molto di questa situazione. 
E: Siamo in quattro a fare la stessa terapia. Secondo me questa terapia ti dà stabilità e forse contribuisce a darti una regolarità. 
A.V.: lo però mi sento stanchissimo 
A.M.: Io, il periodo del dormire, l’ho passato. Roberta: Credo che quello che il dottore abbia voluto dirti (rivolta a Walter) è che tu prenda le terapie con regolarità. 
W.: No, io con quella terapia non dormo e voglio le venti gocce che mi davano prima, come terapia supplementare, non mezza pastiglia. 
R.: Ma può darsi che mezza compressa corrisponda a venti gocce. 
W.: Me lo hanno detto, ma io non ci credo. 
A M.: No, non è vero perché a me una fiala di …. mi annullava la fantasia, e il dottore mi ha detto che corrispondeva a quindici gocce, ma a me quindici gocce non fanno quell’effetto. 
W.: Io ho chiesto, per favore. Mi faccia questo favore. No, no mezza compressa. 
R: (rivolta a Andrea M.) Una fiala di corrisponde a tredici gocce. 
A.M.: E perché a me fanno un effetto diverso. 
R: Perché può darsi che sei in uno stato diverso. lo però direi di tornare al discorso della spiaggia, che facevamo all’inizio. A.V.: Cerchiamo di stare fermi, rilassati. 
C: Allora lo affittiamo il cabinone, per luglio? 
E: Però non posso garantire di stare trenta giorni in spiaggia. 
C: Lo so, lo so. 
A M.: A me quando il… mi sale, mi sento drogato. 
E: Ti fai delle paranoie. 
A.M.: No, no. 
W.: Però a me durante il giorno mi fa star bene, ma passo delle notti. 
R: Allora, facciamo una riunione sui farmaci o parliamo di altre cose! C: Ma, se è un’esigenza di tutti. R: E un farmaco che non ha gli effetti collaterali degli altri. 
A.M.: Ma perché me lo abbinano agli altri. 
R: Perché adesso ne hai bisogno. 
A.M.: Di questi saliscendi? 
R: Si, esattamente. w: il dottore a me ha dato un antidepressivo, che davano a un ragazzo che conoscevo, mi fa ragionare di più. Ma che cosa è… 
R: Tu mi sembri arrabbiato con il dottore, se vuoi facciamo una simulata. lo sono il dottore e ti dico: caro Walter ti do mezza compressa perché visto che tu tra quattro mesi sarai a casa vorrei che prendessi le pastiglie regolarmente” 
W. Ma perché non me lo ha detto lui? 
F. lo propongo un giro in cui ognuno dica con quale metodologia prende i farmaci. Per esempio io mi alzo la mattina regolarmente. Vado come un orologio. 
A.V.: Secondo te è meglio prendere i farmaci alla stessa ora? lo a volte li sbaglio o li dimentico. 
C: Glieli ricordo io. 
E: Bisogna prenderli alla stessa ora. Perché c’è gente che l’ha tolta ed è andata fuori di testa. 
A.M.: E inevitabile che quando si esce, dalle strutture, non si prenda la terapia. 
A.V.: Io che sono fuori la prendo. 
A.M.: Fai bene, cosa vuoi che ti dica, ma io non la prenderei. 
A.V.: Un sacco di gente si è fatta la terapia ad uso e consumo proprio ed è uscita di testa. Io lo dico sempre alla Chiara di non prenderne troppa. Ma è meglio prenderne di più che di meno. R: Né l’uno né l’altro; prendiamo la terapia giusta. lo ho dovuto prendere il cortisone e cosa facevo? Una sera lo prendevo e una sera no? Quando si prendono gli antibiotici si salta la cura? Non mi sembra. Li prendi e eventualmente vai dal medico a raccontare i disturbi che ti danno. 
E: Vorrei dire una cosa ad Andrea. Se ti abitui ad essere regolare, non hai bisogno di prendere terapia in più. 
A.M.: lo sono arrivato a prendere con il consenso del dottore solo 5 gocce di…, e dormivo benissimo. 
A.V: Quel farmaco è leggero, lo prende tua nonna che non sta bene. 
R: Quando prendevi questo farmaco? 
A.M.: Quando ero ancora con mia madre. 
R: E come stavi? 
A.M.: Disgraziatamente ho dovuto ricoverarmi… 
R: E allora! 
R: Alle sei di mattina mi ha telefonato Chiara e mi ha detto che l’ultima volta hanno parlato solo gli uomini. 
C: lo mi sento in difficoltà, ci sono poche donne in questo gruppo. lo e G. (ora assente) ci siamo indifferenti, non andiamo molto d’accordo. Gli altri son tutti uomini, provenienti dalla stessa struttura, tutti amici da anni. 
A.V.: Ma lei è nella stessa situazione tua. 
C: Non si allea con me, mi ignora. 
A.V.: Non si tratta di allearsi, ai gruppi di autoaiuto non si viene per farsi delle ragioni, si deve venire più rilassati, bisogna discutere delle questioni, ognuno dice la sua opinione e tu non ti devi arrabbiare se l’altro dice un’opinione diversa. Non dire “l’altro non mi considera’”. Ci siamo un po’ scaldati, secondo me sarebbe più costruttivo se le opinioni si intrecciassero e nascesse qualcosa di positivo e di concreto. 
R: Adesso c’è la spiaggia. 
A.V.: Intanto c’è la spiaggia. 
W.: Io direi che con il nostro modo di fare intanto arriviamo a qualcosa di concreto. 
A.V.: Si lo so, ma io dicevo che c’è troppa rabbia. 
F.: io non sono arrabbiato. 
A.M.: Ma è che noi ci portiamo dietro la rabbia di tutti questi anni. 
A.V.: Forse perché alcuni di voi sono ancora in Comunità.
 W.: Appunto, anche a causa dei dottori. 
C: Vedi Roberta, quello che ho detto io non l’ha tenuto nessuno in considerazione! 
AV: Cosa hai detto? 
CI: Quello che dicevo prima, che siete molto amici da anni. 
A M.: Ma tu sei molto più avanti di noi… 
C: Ma io non dicevo più avanti o più indietro. Dicevo che siete molto amici, avete condiviso la stessa esperienza, fate le stesse battute. lo mi sento un pesce fuor d’acqua. C’è la Roberta e io mi sento spessissimo con lei, la G. invece non mi vuole essere amica. 
R: Ma tu le telefoni? C: Si, forse dovrei farlo di più? R: Quante volte le hai telefonato questa settimana? C: Nessuna. R: E la scorsa? 
C: Due.. 
W.: La Gabriella fa ancora più difficoltà. Anche perché è l’ultima arrivata e anche lei non ha riferimenti. 
AV: Però c’è il teatro e tu lo fai con noi. 
C: Ma sì! Però io faccio fatica a parlare qui. 
AV: Perché? 
C: Perché mi sembra di avere un muro davanti; voi quattro uniti, stessa esperienza 
R: Scusa, ma tu all’inizio dicevi di voler andare a Savona ad un gruppo di auto aiuto e tutti ti hanno detto di sì. Questo semmai è un arricchimento per te e per il gruppo.. 
C: Tu dici che è un modo per proporre un argomento? 
R: Ma no, voglio dire che ognuno si fa le sue cose, arricchisce il suo campo. Quindi alla fine del gruppo, c’è chi ritorna in Comunità, chi va a casa o a lavorare, tu tomi a casa con Andrea. 
F: Volevo provare un gruppo di autoaiuto per chi voglia smettere di fumare. 
R: E per i bevitori cosa facciamo? 
W.: Come si spiega che in tutti gli ospedali si fuma. Fumano tutti come dei turchi. 
E: Noi non siamo alcolizzati, beviamo qualche bicchiere. 
A.V.: Per smettere di fumare bisogna essere tranquilli. 
W.: C’è uno che beve tre caffettiere e fuma tanto. 
C: lo sono preoccupata, per Andrea che fa una vita sregolata. 
A.V.: A parte che vedo gli Europei di calcio; tutte le partite.. 
R: Secondo me è positivo perché è una delle poche volte che non ti sento dire lo dovrei fare, faccio, se non faccio…” mi sembrano i termini del relax… 
E: A me piacerebbe avere del relax. lo sono andato in campagna, ma è stato uno stress. Col nonno in casa che adesso mi sto abituando. Ma anche quando riposo non mi rilasso. 
C: lo sono preoccupata perché fino alle due, quando Andrea si alza, sono sola. 
A.V.: Ma tu sei esagerata. 
A.M.: Roberta aiutaci tu che sei più grande di noi e lo puoi sapere. 
R: Cosa? 
A.M.: Non sono quelle cose che sono nella vita di tutti? Non è che stiamo entrando in quella dimensione che praticamente sono tutti così? Perché io nell’alloggio protetto vedo l’ausiliaria che arriva al mattino e deve pulire le scale e tutto quanto. E a casa poi c’è mia madre che alle quattro di mattina lavava già i pavimenti. Non pensi che stiamo entrando nell’ordine di idee che la vita stessa ci induce a vivere questo stress. E poi l’infermiera m’ ha detto una cosa: fai già tanta fatica a lasciarti curare, a prendere le pastiglie” . Perché a me hanno detto che per farti curare devi essere predisposto. lo le avevo detto che volevo smettere di fumare e lei mi ha detto “No, se tu smetti di fumare fai un casino perché ti stai già curando. Te lo sconsiglio!” 
F.: Non siamo noi che inseguiamo la vita, è la vita che insegue noi. 
A.V.: Il tempo gira, le lancette dell’orologio girano. 
F.: Andiamo verso la vita. Sono uscito dalla comunità perché ho sentito il richiamo della vita che, a un certo punto, ti dice esci. Ci saranno dei problemi fuori, però ti senti più vitale. A un certo punto in comunità ti senti freddo, glaciale, in un’area senza ossigeno. 
A.V.: Se ti alzi al mattino e fumi tutto il giorno.. 
R: Ma è vero che ti senti più rilassato (rivolta ad Andrea). 
C.: E molto migliorato. Sta anche meglio, ma chiedo che si alzi almeno alluna. 
R: E tu cosa fai intanto? 
C: Faccio un sacco di cose, curo i fiori e il giardino, vado a spedire lettere per il teatro, all’ufficio della cooperativa… 
A.V.: Poi alla sera è stanca, e non capisce niente. 
C: Sono stanca alla sera. 
F.: lo ad esempio sono entrato in un ambiente di lavoratori dove non pensavo di entrare così facilmente. Diventa una routine; è bello l’ambiente lavorativo. 
A.M.: Oggi è diversissimo da una volta, da quando noi abbiamo fatto l’esperienza. lo mi ricordo i primi vesponi che giravano per Genova.. Vai a vedere un po’ i casi della vita, uno magari si chiede da bambino cosa farò, poi magari durante l’adolescenza… 
W.: Vorrei darti un consiglio, perché io ci sono caduto, non ragionare mai per totalità di cose, per amori infiniti. Datti sempre una misura in tutto 
A.V.: Comunque un po’di sogno ci vuole. 
R: Non mi hai detto come è andata in campagna (rivolta a Federico). 
F.: Guarda, sono andato in campagna con l’idea di fare le cose che faccio quando sono solo. Poi è successo che mi hanno invitato a mangiare la pizza, ho visto qualche vecchio amico. Ma gente che non vedevo da vent’anni. Una che era la mia ragazza.. 
W.: La tua ragazza eh? ‘ 
F.: E sposata adesso, con uno che non mi piaceva, ma adesso mi è simpatico. Niente, ho visto un po’ di gente. Poi sono andato a vedere la partita c’erano tutti vecchietti, quattro chiacchiere, sì commentava. Alle undici di sera sono andato a dormire. C’era mia sorella con mio cognato e la bambina, nel pomeriggio avevo giocato un po’ con lei. Il giorno dopo, ci siamo alzati, abbiamo fatto colazione, poi è venuta giù una ramata d’acqua e siamo tornati a Genova. Si, mi sono distratto un attimo, ma.. 
R: Ti eri fatto un sogno maggiore. 
A.V.: Si è un po’ disilluso. 
W.: A proposito, io ho fatto un sogno, che giocavano Monza e Juventus e io giocavo. Era troppo bello, ma mi hanno svegliato. 
F.: Io ho sognato di essere un supereroe. 
W.: Io ho fatto pure un goal, scartavo anche, tutti che applaudivano. Bellissimo! 
F.: Posso raccontare un mio sogno. Mi alzavo ed ero una specie di lucertolone, e sapevo di avere dei superpoteri che volevo mettere al servizio dell’umanità. Andavo da Ciampi, mi presentavo al parlamento europeo, andavo in Mozambico. Poi è finito il sogno.. 
R: Direi che questa settimana siamo più rilassati, è andata meglio dell’altra volta. 
AM: lo sono preoccupato perché la Chiara ha dei momenti.. Per esempio oggi siamo arrivati in stazione, doveva imbucare delle lettere e le ho indicato la buca, ma lei era in panico, perché lì c’era una coppia.. 
A.M.: L’ infermiera ha detto che Chiara è una ragazza intelligentissima e che Andrea è un po’, va be’, che non fa altro che stuzzicare. 
R: Devo però dire che quell’infermiera. è stata la prima a dire che Andrea doveva uscire fuori dalle comunità, perché le aveva girate un po’ tutte per un lunghissimo periodo, undici anni. 
F.: (rivolto a Chiara) Tu hai un sacco di capacità, hai idee che sono molto valide. Hai delle grandi possibilità, dovresti credere più in te stessa. 
C: E’ vero 
F.: Il regista Massimo Rossi una volta mi ha preso da parte e mi ha detto: guarda che la Chiara tiene la scena in una maniera incredibile. 
C: Ma a me importa solo l’amore di Andrea non mi sento molto bene 
R: Perché? 
C: Forse mi sento meglio quando sono arrabbiata. 
 
Al termine dell’incontro, si continua a “stare insieme” a cena. Questo è un esempio di comunicazione all’interno del gruppo di auto aiuto. L’incontro riportato è uno dei primi e potrei dire che la ricchezza delle comunicazioni e lo sviluppo delle capacità di sostegno reciproco si sono evolute positivamente.